E’ impossibile non desiderare, così com’è impossibile non comunicare (Watzlavick, 1971). Qualcosa che fosse prossimo ad una mancanza di una di tali condizioni sarebbe sintomatico di un disturbo.
Tutti hanno la sensazione di sapere cosa sia il desiderio, ma se ci chiediamo di darne una definizione spesso scopriamo che il suo significato rimane incastrato tra le nostre labbra, sulla punta della lingua qualcuno direbbe. Per cominciare a parlare di desiderio potrebbe allora essere utile partire da qualcosa che a un primo sguardo sembrerebbe essergli apparentato: il bisogno.
Molti accostano nel significato i termini desiderio e bisogno. Forse non a caso però essi hanno etimologicamente origini diverse. “Bisogno” deriva dal latino bisonium col duplice significato di “cura” ma anche di “necessità”. L’etimologia di “desiderio” è più poetica, deriva dal latino de-sidus e può significare “fissare attentamente le stelle” oppure “togliere lo sguardo dalle stelle” nel senso di sentirne la mancanza. Le stelle esprimono un tipo di necessità che sembrerebbe non essere sul medesimo piano del bisogno. Le stelle sono difficilmente raggiungibili nella pratica ma al contempo sempre cercate e raggiunte con lo sguardo, tanto è vero che guidano la navigazione. Quando le stelle non sono visibili se ne percepisce la mancanza, e gli indovini diventavano incapaci di gettare uno sguardo sul futuro: marinai e indovini appunto le desiderano. Se il bisogno parla al presente, il desiderio immagina il futuro e muove verso di esso.
Nell’appagamento di un bisogno il piacere che si prova ha a che fare con un ritorno ad un punto di equilibrio ottimale, ad un abbassamento dello stato di tensione (Freud, 1924; Jacobson, 1953, 1971). Pensate ad esempio al sollievo se non il piacere di mangiare dopo essere stati affamati.
I bisogni, da quelli più basici a quelli più elaborati, sono legati agli oggetti del loro soddisfacimento da un legame strumentale: utilizzando ancora l’esempio del cibo, un pasto che abbia la funzione di placare la fame ha un significato ben diverso da una cena a lume di candela. Tutti abbiamo esperienza del fatto che talune persone sono funzionali ad alcuni nostri bisogni, ma se ci fosse qualcun altro al loro posto per noi sarebbe lo stesso perché sono le funzioni che rivestono a contare più che la specifica persona. Il bisogno ci parla molto più delle nostre necessità che dell’altro; il desiderio è evocato dalle specificità dell’altro ed in questo modo ci dice anche qualcosa di noi, insomma parla di entrambi.
Più in generale: nel bisogno, il legame che ci lega all’altro è di natura anonima e strumentale, l’altro ci è utile per star bene e se ciò non accade allora viene eliminato dalla nostra equazione. Nel desiderio le cose si complicano: l’altro è riconosciuto nella sua specificità, non è un blocco monolitico e monocromatico, è una creatura policroma affascinante e articolata in molteplici sfaccettature. Il suo essere considerato in tutta la sua complessità ci crea insieme sofferenza e benessere, a volte entrambe le cose allo stesso momento. Anzi, nel desiderio l’assenza di tensione, a differenza che nel bisogno, può essere persino spiacevole, percepita o temuta come l’immobilità di qualcosa di morto o moribondo. Nel desiderio l'altro è che ci interessa per chi è prima che per quello che soddisfa. Nel desiderio, a differenza che nel bisogno, la tensione è piacevole perché è tensione verso qualcuno, è sua ricerca, è vigilia di un incontro. Il desiderio è tensione perché è proteso a qualcuno di riconosciuto nella sua importanza per sé ancora prima che per noi, eppure il desiderio ci fa anche sentire più direttamente, quasi sensualmente, noi stessi e chi noi siamo: nel desiderare ci sentiamo più vivi, abbiamo una spesso indefinibile ma diretta percezione di chi si è. Nel desiderio quindi non solo è impossibile che l’oggetto del nostro desiderio sia anonimo, ma noi stessi ci avviciniamo ancor di più a qualcosa di autentico di noi.
Ecco una prima differenza dunque. Nel bisogno il piacere giunge da un ritorno verso la quiete dopo aver attraversato uno stato di tensione psicologica e/o fisica. Nel desiderio la tensione, con i suoi ritmi, le sue modulazioni, la sua danza, è fonte di benessere.
Il tango è una rappresentazione plastica perfetta di questa dinamica del desiderio: con i suoi avvicinamenti e distanziamenti, lo sfiorarsi e quasi respingersi, il rallentare e accelerare, con la coppia di danzatori che si s/fidano, si superano, si aspettano, la battaglia degli arti inferiori contrapposta al legame che mai cede delle mani. Per tornare ad essere prosaico si pensi al vecchio adagio che l’attesa di una festa, il tendersi desiderante verso essa, è più piacevole che la festa stessa. Il bisogno è bisogno di qualcosa; il desiderio è in relazione a qualcosa anzi a qualcuno. Il desiderio è relazionale, il bisogno è solitario. Il desiderio, si diceva, è relazionale ovvero libera e insieme lega, comporta in un certo senso anche delle responsabilità (Hegel, 1807).
Ecco un corollario a quanto detto, che è anche una seconda differenza: il bisogno necessita di certezze, di prevedibilità. Certezze e prevedibilità che invece finiscono con l’uccidere il desiderio: sarebbe come un tango ballato da fermi. Il desiderio, nel suo essere teso verso l’altro, e nel godimento di questa tensione, necessita che appena raggiunto l’altro faccia un passo più in là, che non sia esattamente o ancora identico a come lo pensavamo, e nel cercare costantemente una pienezza dell’altro, che pure si spera non possa essere mai del tutto raggiunta, noi stessi godiamo l’esperienza di ulteriori declinazioni di noi in rapporto con questo nuovo altro. L’essere oggetto noi stessi di desiderio ci arricchisce ulteriormente nel rispecchiamento dell’altro che ci rimanda un’immagine desiderata di noi che non sarà mai una copia carbone dell’immagine che abbiamo di noi stessi.
Una coppia che funziona grazie invece che nonostante le diversità è una coppia che ha davvero raggiunto un maturo equilibrio: l’equilibrio sta nella capacità di danzare insieme, di mantenere e modulare all’unisono il ritmo ma di saper tollerare i contrappunti, come nel tango di fidarsi e sfidarsi, di cavalcare le onde ovvero le perturbazioni generate dall’altro che è una persona diversa da noi, dal non lasciarsene travolgere né offendere, dal godere del sentire l’essere accompagnare queste onde. L’equilibrio sta nell’aver acquisito una tale intimità e confidenza nei processi liberi di questa danza da non necessitare quindi di seguire tranquillizzanti copioni; l’equilibrio sta nel poter essere una coppia che governa la nave dell’essere insieme, invece d’illudersi di poter addomesticare le onde, una coppia che neppure ricerca l’illusoria pace data dall’immobilismo di un “calmare sempre le acque” che, come per tutte le secche, finirà inevitabilmente per affamare l’equipaggio.
Non vorrei però essere frainteso. Quando parlo di desiderio non parlo solo di desiderio sessuale. Né parlo solo di coppia. Il desiderio riguarda noi stessi e il rapporto con gli altri, noi inclusi ovvero con parti di noi che, ad esempio, anelano una piena realizzazione e che nel viaggio per farlo ci fanno scoprire di poter essere altro ancora, rendendo la meta del nostro viaggio il viaggiare in sé. Essere in contatto con la nostra parte desiderante è una condizione fondamentale. Trovare un equilibrio tra questo desiderio di essere noi stessi e quello di rivestire il nostro ruolo nella coppia, nella nostra famiglia, nella nostra società, è un compito imprescindibile ma nient’affatto facile che può esitare in un sacrificio di sé, o viceversa in isolamento, o ancora in un adeguamento acritico ma sottilmente o apertamente rabbioso, e così via. Si diceva non è cosa scontata né mai facile, e quindi una famiglia di origine che abbia fatto sentire al bambino di poter esprimere questa parte desiderante può essere un grande aiuto. Viceversa potrebbe essere stata un ostacolo per il bambino quella famiglia che lo avesse fatto sentire come colpevole o egoista ogni volta che esprimeva il suo sé nascente e desiderante.
Per desiderare bisogna essere persone vive e vitali, e non essere eccessivamente sofferenti. Chi soffre di gravissimi disturbi o delle conseguenze di gravi traumi ha ancora bisogni (seppure persino quelli possono apparire meno pressanti) ma non è scontato che abbia ancora desideri o che possa ancora accedere ad una loro parte desiderante talvolta eclissata dalla sofferenza.
In situazioni particolari bisogni e desideri sembrano più confusi. Si pensi alla quarantena per il Covid-19 di cui stiamo facendo esperienza, in cui la differenza tra bisogno e desiderio sembra farsi meno netta dopo settimane di cattività nelle nostre case.
Oppure, in tutt’altro ambito, pensate al disturbo narcisistico di personalità: a prima vista si potrebbe pensare che il paziente narcisista soffra di un desiderio inflazionato verso se stesso, un desiderio egocentrato in cui tutto orbita attorno a lui. In realtà il paziente con disturbo narcisistico di personalità non è colmo di desiderio, piuttosto è pieno di bisogno e timore, il suo desiderio è embrionale e insicuro, egli necessita di un’attenzione che puntelli un sé che è fantasticato grandioso solo per tollerare il panico di saperlo fragile e di non vederlo riconosciuto dall’altro. Il narcisista sembra mettere se stesso lì dove dimorerebbe il desiderio dell’altro perché l’altro è vissuto come pericoloso: in questo senso il suo desiderio è embrionale e insicuro.
O, ancora, si pensi a chi pervicacemente ricerca una persona che invece non ricambia: si potrebbe pensare che si tratti di un desiderio grande, magari eccessivo, ma al più è la perversione di un desiderio. Il desiderio, si è più volte detto, è relazionale, ha a che fare, dicevamo come esempio, col tango, non può prescindere dall’altro, per sua natura non può essere imposto ma neppure può ridursi in un immobile stare abbracciati che non consente la danza. Il desiderio può essere in assenza dell’altro ma non in sua mancanza, anzi quasi presuppone un’assenza nel senso che dicevamo che se l’altro è raggiunto una volta per tutte il desiderio si spegne.
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